Nel 1620 la Contessa Ginevra Cornaro donò alla comunità di Santo Stefano (allora denominato Santo Stefano di Volpino) una pezza di terra di tre campi veronesi per costruirvi la chiesa del paese posta quasi di fronte alla villa, con l’obbligo di celebrarvi delle messe.

E’ ancora visibile una lapide incastonata sul muro a lato della scala interna che porta all’organo della chiesa parrocchiale recante la scritta: LA CL.MA S.RA GINEVRA CORNARA CHE FO’ DELL’ILL.MO SIG.R CARLO NOB. DI VENETIA HA INVESTITO IL R.DO RETTOR DELLA CHIESA DI S.STEFANO ET SUOI SUCCESSORI, D’UNA PEZZA DI TERRA DE CAMPI TRE IN CONTRA’ DEL GAZO, CON OBLIGO AL DETTO R.DO RETTORE DI CELEBRAR UNA MESSA ALLA SETTIMANA ET UN OFFICIO DE MESSE DIECI OGNI ULTIMA SETTIMANA DELL’ANNO IN PERPETUO PER L’ANIMA DI D.A SIG.RA APPAR DI ESSA INVESTITURA, ET OBLIGO INTR.O PUBLICO ROGANDO DA D.NO FABRICIO RUTILIO NODARO DI COLOGNA L’ANNO DI N.RO SIG. MDCXX.

Con successivi trasferimenti, la villa passò di mano in mano divenendo prima proprietà dei Grimani verso il 1740, ed infine, nel 1787, dei Morosini.
I Grimani erano nobili patrizi di una antica casa Doganale Veneta che si divide in cinque linee delle quali sopravvivono oggi solo due rami della superstite detta di San Luca. Furono molti i personaggi importanti amici e ospiti illustri della famiglia Grimani, come il famoso commediografo Carlo Goldoni, che scrisse nel 1750 una poesia per le nozze dell’amico Giovanni Grimani con Caterina Contarini; o il pittore Pietro Longhi che li ritrasse nel 1751 nel celebre quadro del ”Rinoceronte”. Erano loro i proprietari delle ville di Santo Stefano, la Morosina e la Cornaro, ma anche di altre ad Albaredo di Vedelago (Treviso), a Martellago, a Pettorazza Grimani, (dove le ultime tre contesse sono state sepolte) e di molte altre.

I Morosini, erano nobili veneziani che possono vantare quattro dogi e tre dogaresse, una regina d’Ungheria ed una di Serbia. Il doge Francesco, detto il Pelopponisiaco, fu un famoso condottiero e fu grazie Loredana Grimani, l’ultima erede dei Grimani andata in sposa a Francesco Morosini (nipote del Poloponnisiaco), che i Grimani e i Morosini riunirono in un unico e vasto patrimonio. Questi ebbero una figlia, Elisabetta Morosini, che sposò a Vienna il conte Antonio Gatterburg, capitano austriaco già citato per la villa “Morosini” adiacente alla Cornaro.

Ebbero due figlie: Marianna, morta precocemente e Loredana che ereditò l’immenso patrimonio di famiglia. Loredana Morosini Gatterburg fu l’ultima erede e fu anche l’ultima proprietaria delle ville di Santo Stefano, la Morosina e la Cornaro. Alla sua morte il ramo della famiglia si estinse e gli eredi cedettero l’immenso patrimonio, frazionandolo, tranne quello destinato alla Congregazione di Carità di Venezia, comprensivo delle due ville di Santo Stefano con i rispettivi campi e rustici. Villa Morosina dista dalla Cornaro un centinaio di metri e un muro di confine con i relativi rustici, divide le due proprietà. Per la comunanza della proprietà delle due ville adiacenti (Cornaro – Morosini) una breve introduzione alla famiglie stesse era necessaria. Villa Cornaro ha la struttura di una vera e propria villa veneta a due piani con sopralzo nella parte centrale, contornata da volute alle parti, concluso da un frontone ornato da pinnacoli ai vertici del timpano. Si compone di una parte centrale cinquecentesca, con un salone centrale passante, che attraversa tutto l’edificio da fronte a retro, e stanze ai lati poste in modo simmetrico. Tra il Settecento e l’Ottocento sono stati aggiunti un sopralzo timpanato nella parte centrale e due corpi laterali simmetrici che terminano con due timpani uguali ripetuti nei due frontoni principali a Nord e a Sud: probabilmente unico caso di triplice presenza di timpani nel scenario delle ville venete fatta eccezione Villa Pisani a Strà e Villa Toderini a Codognè. Villa Cornaro si presenta con una duplice facciata: quella principale più alta e con l’attico disposta verso la strada a nord, quella più bassa rivolta verso il brolo a sud. Si divide in tre piani: piano terra, piano nobile e attico. A pian terreno, la parte centrale è composta da una porta ad arco a tutto sesto incorniciata in pietra e da sei finestre rettangolari, sempre incorniciate in pietra berica locale, con l’aggiunta di due corpi laterali più bassi con altre due finestre su ambo i lati. Al primo piano si ripete lo stesso schema del piano terra con una porta ad arco, ma con l’aggiunta di un grazioso balconcino, in ferro battuto a ventre, sostenuto da due mensole. Al centro spicca un sopralzo o attico aggiunto e munito di due finestre più piccole con una monofora centrale ad arco, scoperta e riaperta durante l’attuale restauro, coronato alla sommità da un timpano triangolare con tre pinnacoli e ai lati, quasi sospese, due volute che collegano visivamente e ornano il sopralzo e si appoggiano al tetto. Ai lati, più basse, le due ali laterali terminanti a motivo di torretta, con due timpani o frontoni uguali per forma e dimensione di quello centrale. La facciata, disposta a Sud, è più bassa e meno imponente perché senza il sopralzo, ma uguale all’altra per numero di porte e finestre, si affaccia al brolo ove un tempo vi erano alberi da frutto e ora è recuperato per altra fruizione ricettivo-turistico con il confort che l’ospite cerca e chiede.

Guardandola dal brolo, si notano ai lati i due timpani con sopra tre pinnacoli e al centro due porte ad arco a tutto sesto con un balcone in ferro battuto. Si vedono anche due canne fumarie esterne, aggettanti alla polesana, che terminano con due comignoli lavorati in pietra e con la stessa forma dei pinnacoli del timpano a sfera, in pietra berica. L’interno comprende un salone centrale che attraversa l’intero complesso (detto portego) e quattro grandi sale ai lati disposti simmetricamente. Il soffitto del salone è a travature regolari di legno alla sansovino.

A metà salone sulla destra, una bella porta ad arco, incorniciata in pietra, ci conduce alle scale in pietra che portano ai piani superiori. Il salone centrale del piano nobile, è pavimentato in parquet posato a spina di pesce probabilmente originale del ‘600 / ‘700.

Le stanze principali sono dotate tutte di caminetto con cornice in pietra berica lavorata con lo stile usuale nel seicento. Il restauro ha conseguito di risanare la villa, salvarla dal degrado e riportarla all’antico splendore mantenendo l’insieme della facciata uguale a quello precedente. Sono stati creati spazi a mansarda nei sottotetti, prima non abitabili, mantenendo il più possibile gli ingombri, altezze e le dimensioni originali per un utilizzo della villa ad attività ricettiva.